giovedì 29 novembre 2018

L’ora dell’SOS è scoccata, 5:05 am. 
Di dormire non se ne parla, dev’essere il mio corpo che si oppone a tutto il tempo che butto di giorno e di notte me lo fa recuperare con questi straordinari, inutili: devono sentirsi così le macchinette del caffè negli uffici di tutto il mondo, quando gli altri se ne sono andati.
Anni e anni fa, credevo che l’insonnia fosse qualcosa di cui andar fieri, un segno di elezione, la prova che anche se forse ero troppo piccola per leggerlo, Céline io l’avevo capito, ma non volevo ancora dargli credito. Ora è più che altro preoccupazione di coprire le occhiaie al mattino.
Però rimane costante un solo pensiero prima di dormire quando non riesco a dormire, che vorrei un registratore in testa, un cuscino intelligente, uno smartpillow, su cui si imprimano immagini e pensieri oltre alla fossa della testa, sempre più pesante, sempre più scomoda. La mattina rileggi la federa, magari ti è venuto qualcosa di buono, la archivi, altrimenti la scrolli, si azzera, pronta per la notte successiva. Invece nessuno smartpillow, al massimo qualche smartpill, oppure ogni tanto ho incontrato una PV, Persona Valium, con cui dormire bene, ma non è mai stata una cura risolutiva e intanto milioni di parole perse per sempre, come queste, che ammasso ai bordi dei minuti fosforescenti e spigolosi scanditi dalla sveglia. E la mattina non le recuperi, se provi a riscriverle suonano male, c’è troppa luce ormai e tutti hanno ripreso a parlare, tanto vale non dirle.