Madame e messeri, eccomi; sono il vostro joglar.
Mi acclamerete in svariate
maniere, giocoliere o giullare giacché gioco a scherzare, o istrione e buffone,
oppure cialtrone. M’appello menestrello se servo in un castello, o pagliaccio
quando dormo su un pagliericcio e me ne compiaccio.
Tamen, badate che io non son un
giullare regale, bensì reale.
Io m’adopro per il piacere et il
dispiacere. Bramo sollazzo e ozio, altresì voglio travaglio e cordoglio. Inter-esso
e di-verto, di-verto e inter-esso.
Le vostre laringi arrossiranno di gioie e lamenti.
Le vostre ugole vibreranno per risa e singhiozzi.
Le vostre labbra suggeranno lacrime benigne e maligne.
Sulle guance di vossignoria, solleticate da sorrisi leggeri e da
pesanti smorfie percosse, il pianto salace si mescerà all’insipido, perché così ha
deciso Realtà; così ha stabilito la sorella grezza di Verità. E se avete inteso
il costume di codesti tempi contemporanei, comprenderete che oggi un giullare –
un autentico giullare – non può che essere reale.
Sino a che non conquisteremo il diritto di piangere o non piangere, dovrete
piangere e non piangere. Godere e non godere, soffrire e non soffrire.
Plazer et enueg.
Madame e messeri, eccomi; sono il vostro giullare.
Ossimoro vivente e morente, narrante.
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