domenica 9 febbraio 2014

Voi non vi odiate un po'?

Mi salta il cuore
a guardare un cielo blu
di febbraio
sopra la grigia Milano.
E non mi sopporto
se penso
che non sto sorridendo.
Ma voi
non vi odiate un po’?
Voi
non vi detestate
se pensate
che un cielo così
lo possono vedere
le sbarre unte di San Vittore?
Che segano lo sguardo
ai detenuti
giusti ingiusti
ma come bestie da allevamento intensivo:
andiamo all’Esselunga,
compriamo solo polli allevati a terra,
coccolati da Amadori.
Degli uomini chissenefrega.
Non vi odiate un po’
se pensate
che la vita non è bella
– no, Benigni, non è bella –
se osservata
dalle finestre di oncologia pediatrica
dalla camera mortuaria dietro la Statale
dal letto di casa
quando non si può fare altro
che aspettare di non vivere?
E dai cartoni
coperte, in Centrale,
per chi non ha più niente,
per chi ha perso tutto,
mentre altri guadagnano
perdono umanità
e noi regaliamo spray al peperoncino
ai poliziotti,
equipaggiati di pistole e manganelli
quasi mai di puntualità

quasi mai onesti
quasi mai giusti.
Voi non vi odiate un po’
se pensate
a chi sembra non pensare?
A chi si veste di indifferenza,
sfoggia
la propria incapacità a essere
un essere umano
e dice: “guarda,
sin-ce-ra-men-te
a me non m’interessa proprio.”
Voi non vi odiate
un po’?
Io
mi odio
un po’
se penso
che questo cielo blu
di febbraio
a Milano
resta bello e blu
anche davanti ai ciechi.
Io mi odio un po’.
E non sorrido;
che c’è da sorridere?

domenica 2 febbraio 2014

Quanto tempo perso

Da quando mi sveglio tardi la mattina, il momento riflessivo che di solito il dopocena porta con sé si è spostato alla pausa caffè del primo pomeriggio.
Incomincia sempre nello stesso modo, ha una sua ritualità ormai: io, in piedi davanti alla macchina del caffè, la luce che lampeggia e, non appena smette di accendersi e spegnersi e si illumina, abbagliante fa scattare il mio gesto automatico per riempirmi la tazzina.
Quanto tempo speso a farsi caffè. A zuccherarli poi.
Quanto tempo sprecato a fumare, a raccogliere il tabacco che scivola fuori dalle cartine e a leccarsi le labbra quando la sigaretta ti si incolla alla pelle.
Quanto tempo perso a fissare il vuoto per poi scattare alla ricerca di un orologio; sappiamo che ore sono ma non abbiamo capito il tempo.
Quanto tempo perso a parlare del tempo. Che piove, che non piove, che non va mai bene a tutti.
Quanto tempo buttato a far cose che non ci piacciono e quanto impiegato per farcele o fingere di farcele piacere.
Quanto tempo a pensare all’impensabile.
Quanto tempo perso ad aspettare senza sapere, senza chiederci perché, per chi. Ad aspettare senza attendere o ad attendere, mentre si pensa all’impensabile, che scarnifica, degenera e ammazza.
Quanto tempo perso a parlare da soli, in solitudine e in compagnia; a correggere errori grammaticali, a pensare di fare, quando sarebbe così semplice fare e basta.
Quando faccio il caffè mi fa compagnia la mia gatta. Sale sul calorifero, sotto la finestra in cucina, cerca la posizione più comoda.
Si distende, appoggia la guancia di pelo in una delle fessure sopra il termosifone e si addormenta.
Chissà se sogna e cosa sogna.
Mai una volta che l’abbia vista incerta o malinconica. Mai.
Mai che fissi il vuoto, perda tempo a chiedere che ore sono, o si agiti senza motivo.
L’uomo è l’unico animale capace di pensare.
Forse, per questo, il più imperfetto.