martedì 9 agosto 2022

Come stai, in una parola? 3

[Sul mio profilo Instagram ho usato il box domande per chiedere: Come stai, in una parola? Alcune risposte sono diventate spunti per i seguenti brevi testi.]

Eroso
Nel 4B da tre mesi, subito dopo i pasti, il rumore ostinato di una goccia pervade la cucina, poi smette, lascia gli inquilini stupiti e stupidi, di fronte a una casa priva di gocce, ma che per venti minuti fa come se gocciolasse, due volte al giorno. M. ha pure chiamato la proprietaria, ma anche lei non ci ha capito nulla. Nessuno ha capito che quando i piatti bagnati approdano sullo scolapiatti, lo inclinano, l’acqua scivola fino al muro eroso, si infiltra e poi sgocciola, attutita, timida, tra un mattone e un mattone sbeccato, nel muro. 
Lo chiamano il Mistero. Hanno ipotizzato coinquilini morti, che portano il digestivo dopo i pasti e ora tutti i giorni se lo aspettano, come le campane, quasi hanno paura che smetta. Che alla fine, avere spiegazioni per tutto, non è gran cosa. Meglio tenersi la spinta di fronte a qualcosa che vorremmo capire e ancora ci sfugge. Sembra un innamoramento. 

Sola + Altalenante + Mutuo 
In una metropoli dagli affitti per coppie, difficile è l’equilibrio fra solitudine e dipendenza.
Da quando ha divorziato dal suo più recente amore, nel suo bilocale all’ultima fermata di metro, E. si sente come Mina in Città vuota, ma più orgogliosa, quindi procede, altalenante, fra il desiderio di indipendenza e la netta sensazione che siano salvezza altre due braccia per infilare il copripiumino. 
– Smettila.
Così, D. rompe il silenzio che cala quando finiamo di lamentarci e aspettiamo le coccole. 
– Smettila. Tu sei più di un bilocale, sei più di un mutuo da pagare, per lasciarlo pagato allo stato quando moriremo. Non lo vedi? Guarda: la cartina, il mondo. Hai idea di quante possibilità moltiplicate per ogni continente, nazione, regione, città, paese, persona? Riesci a quantificare la perdita che rischi, a chiuderti in una scatola strapagata, che nemmeno vuoi e in cui sentirti abbandonata? Smettila con questa storia. 
Diresti mai a un’isola che è sola?
A una montagna? A un lago? Al mare?
Ecco, guarda: tu sei tutto quello che puoi immaginare. Lo capisci che non ci sta manco in casa della Ferragni?
Ti prego, smetti di stancarti e lasciati vivere come puoi. 

Ristrutturazione 
Domani chiudo le palpebre per ventiquattr’ore: spolvero i ricordi, lavo i pavimenti alle stanze dei pensieri e riordino quei maledetti libri scontabili, che immagazzino ogni volta che mi sento in colpa negli scatoloni del dubbio. Ma la vera ristrutturazione dovrebbe occuparsi degli oggetti dai contorni mobili: l’irrazionale, ne sbatto i tappeti che cambiano forma, ritinteggio le pareti dei sentimenti che mutano colore e rivernicio gli infissi delle emozioni, incontenibili.
Vorrei riaprire le palpebre ed essere una versione migliorata di me dove abitare, pulita, almeno durante le vacanze. Ma la verità è che qualsiasi ristrutturazione di noi stessi anzitempo finisce in muffa, così come i riordini sono destinati a venire disordinati, sennò non si vive. Bisogna avere pazienza e lasciarsi asciugare, col tempo; le vite, se serve. 

Scarica
Il cielo era nero, le nuvole impronte di scarpe sporche in un appartamento con la luce a intermittenza da lampadine rotte e impolverate. Quanti danni ci ha fatto il Romanticismo, pensava, pensando al cielo così consonante con il suo paesaggio interiore: fanculo Werther, ti è bastato spezzarti il cuore una sola volta per toglierti la vita. Eri proprio un coglione privilegiato, le labbra pronunciano fra di loro questa frase, mentre un fulmine si scarica sul parafulmine della casa di fronte. Uno spettacolo mai visto. Resta un odore elettrico e G. con il telefono fra le mani, batteria quasi scarica, però un video si poteva tentare. 
Comunque Goethe è sopravvalutato. 
Niente, non è successo nient’altro. 

Attonitogioioso
A quelli che dicono che conta come reagisci a ciò che ti capita, più di ciò che ti capita, nella vita non dev’essergli capitato proprio un cazzo – e sì, con quel pronome pleonastico, a sottolineare che nelle nostre vite le cose che dipendono da noi contano ben poco, vedi le parole.
Per esempio, oggi T. non si è fermato un attimo, ha preso quattro treni, due passaggi in auto, cambiato un paio di alberghi e poi comunque con quel vizio di scuotere frenetica una gamba, anche a stare fermo, non sarebbe stato fermo. Solo alle 20:02 si è concesso di prendere una sedia, tenere a bada la gamba e guardarsi il palmo della mano sinistra, carta idrografica di sudore e calli, ma chi l’avrebbe mai immaginato che si sarebbe posata una coccinella? Nella pianura fra Tigri e Eufrate, proprio al centro della mano e T., tutto fermo, per la prima volta nelle ultime quarantotto ore, può dirsi meno tristemovimentato e più  attonitogioioso. Le apre anche l’altro palmo, vicino, magari ha bisogno di passeggiare. 

Germanizzato
Oggi altro colloquio. No, quello è saltato, invece per quello di lunedì mi hanno già scritto che mi hanno scartata, questo è un altro. Sì, speriamo. Ma quando ho chiuso la videochiamata, sai a cosa ho pensato? Ti giuro, al popolo latino germanizzato dopo il crollo dell’impero. Sarà colpa del Manzoni e Thierry: dovevano sentirsi davvero spaventati, disorientati e atterriti. Chissà. Poi di nuovo fronte china e a lavorare, qualsiasi cosa accada. Ecco, D., io te lo dico: ci è costato tre lauree diventare gli oppressi. 

Lussureggiante + Sudato
L’ultima estate migliore di quelle a venire. Otto del mattino, trentacinque gradi, sulle lenzuola abbiamo già sudato l’acqua che berremo a Ferragosto. Più che dormire, ci dissociamo per qualche ora, tu ora sdraiata al mio fianco non sei ancora rientrata in te e a finire la ricreazione arriverà la sveglia, fra sette minuti. Sette minuti per osservarti inosservato, a dare ritmo alla maglietta, lento, con le labbra socchiuse e madide. Leggo i geroglifici che i capelli ti disegnano sulla nuca, mentre il resto della pelle lucente che percorre il materasso, da qui è una scultura di quelle paesaggistiche, imponenti, che si vedono alla Biennale, un simbolo liquido, come il mare che riga la battigia quando l’onda si ritrae: non conosco l’alfabeto lussureggiante che ti veste quando seminuda mi dormi a fianco, ma purtroppo suona la sveglia e forse un’altra estate te lo chiederò. 

Fragola
– Fragola e panna. 
– Come, scusi?
– Mi ha chiesto che cosa mi motiva: ecco, la risposta più onesta e attuale e immediata che posso darle è fragola e panna. Ho riscoperto questi gusti semplici, da bambini, mi piace prenderlo così ultimamente. Non ha pensato che anche adesso, io e lei, potremmo andarci a prendere un gelato, anziché rimanere in questa stanza con le finestre sigillate a fingerci la versione migliore del nostro cv? Perché i colloqui non si fanno davanti a un gelato, chi l’ha stabilito? Se l’è mai chiesto? E sa perché proprio fragola e panna? Perché quando avremo finito qui e avremo proprio finito, perché fuori dal suo ufficio ho incontrato altre ragazze con qualche master in più e si sa che i titoli contano, forse un’evoluzione di quelli nobiliari, chissà? Ecco, io sono entrata già sconfitta. Ma quando avremo finito, io uscirò di qui e andrò a prendermi un gelato panna e fragola da 2,70 perché quello ancora non me l’avete tolto. E sa cos’altro non mi toglierete e rimpiangerete? Questa testa.

lunedì 1 agosto 2022

È il 4 agosto 2012, compi 19 anni e ti rifiuti di scriverli in numeri, perché le parole in numeri, dai; follia.

Hai diciannove anni e grossi piani fra i capelli, che tieni raccolti perché hai paura che il vento ti spettini e insieme disordini i pensieri, così precisi, ritagliati dai libri e dai film, che ti hanno estorto qualche sabato sera al prezzo dei primi baci, in cambio di una testa pettinata, mica come quella pazza di Ermengarda, con le trecce sparse sul petto in accusativo di relazione. No, noi saremo Carlo Magno, la notte di Natale.

Hai diciannove anni, le cose che ti fanno paura le hai cacciate sotto lo chignon, lontano dagli occhi lontano dal cervello, tanto sotto, che quasi osi dire che non ti spaventa niente, perché niente rimane vergine di spiegazioni sotto quella testa acconciata; nulla può andare storto.

Dieci anni dopo posso dirti che nulla andrà come credevi. 

Se si potesse tornare indietro e se gli output fossero prevedibili dagli input, mi piacerebbe che ascoltassi da te stessa alcune parole numerate. 

  1. La vita non è una tragedia scritta da Manzoni. 
  2. Le persone sono un casino. 
  3. Tu sei una persona. 
  4. Quello che ti sembra normale, non è normale. Vale anche per l’amore, soprattutto. 
  5. Cerca di non vergognarti, perché non esiste vergogna così imbarazzante da meritare il silenzio. 
  6. Parlare con gli altri, a volte, salva la vita. La tua è fra quelle. 
  7. Non sei come i tuoi genitori, per fortuna.
  8. Nessuno è ciò che gli capita. Questa sarà dolorosa da capire e difficile da mantenere, ma prima impari cos’è l’ingiustizia e l’immobilità sociale, prima puoi denunciarle.
  9. Non hai colpa degli errori degli altri. 
  10. Nonostante i tuoi inesausti sforzi ad accontentarli, non sei l’anticristo che ti hanno soprannominato. 
  11. Meriti di essere felice. Sarà forse la scoperta più faticosa che farai e ancora devi difenderla, ma fidati, vuoi, puoi e devi stare bene. Se qualcuno insinua il contrario, mandalo affanculo, chiunque sia. Se qualcuno sei tu, vai in psicoterapia. 

Il 4 agosto 2022 compirai 29 anni. Ora scrivi anche i numeri.

Il futuro rimane un parco giochi invisibile; se giochi, ti spettini, ma stai un gran bene.