mercoledì 14 aprile 2021

L’estate campeggia sulle nostre teste, come fossimo Teletubbies a inizio puntata, ma più felici. 
Oggi zero morti. 
Il giornalaio ha venduto tutti i quotidiani, la gente li appende e li conserva come fosse la Liberazione. In radio, al posto dei notiziari solo musica, ogni tanto qualcuno dice al microfono che non ci crede, ma ci deve credere e finisce in lacrime e risate, di nuovo musica. In tv, i telegiornali devono reinventarsi del tutto, scongelano i servizi su quanto spendono gli italiani e sul caldo, che è tornato l’unico nemico degli anziani, dopo i finti tecnici del gas. Netflix registra il più precipitoso calo di riproduzioni da quando è stato creato. I social sono deserti. 
Gli umani sono tutti fuori – e il T9 vorrebbe scrivere che sono tutti fiori da quanto popolano di nuovo gli spazi a cielo aperto, fuori dai soffitti, a calpestare tutt’altro che pavimenti e lasciare finalmente privacy ai mobili, rimasti soli nelle abitazioni. I modem si raffreddano, i frigoriferi dormono, le sedie si riposano, mentre fuori dalle finestre fioriscono le teste. Sorridono anche i malinconici, persino i vecchi che si lamentano e i bambini che piangono, ogni umano ride, perché da ore non si muore. 
Il peggio è passato, ce lo gridiamo con gli occhi e salutiamo anche chi non conosciamo; piano piano, impariamo che non abbiamo disimparato la vita normale. Quando dicevamo di aver paura di uscire, di non saper più stare con gli altri e non sentire più niente, stavamo solo scherzando, nemmeno ce ne ricordiamo, impegnati a liberare tutti i grilli per la testa, a catturare farfalle nello stomaco e a parlare, correre, ballare, ho già detto che sorridiamo fortissimo? Fino a scoprire i denti in fondo e al posto delle sirene c’è un’eco di esclamazioni, come quando si rivede un amico, che non si vede da un anno. Come fossimo in una favola di Rodari, o in una poesia di Benni con le rime baciate, / dove le vie tornano popolate / di persone non più annoiate, / l’odio evapora come a volte capita all’amore / perché da ore non si muore. / Non se lo spiega neanche il pastore: / credeva fossimo alla deriva, invece / prima o poi, la vita arriva. 

Ma oggi non è oggi. Eppure c’è il sole.

martedì 6 aprile 2021

April is the cruellest month

Aprile è il mese più crudele, ormai lo ripeto da qualche anno e un anno spero che la primavera mi smentirà. Intanto cerco di fare come Lester Burnham, sorridente, anche quando la testa gli è crollata in una pozza di liquido rosso e tutta la vita gli passa davanti agli occhi, che non guardano più.
Vorrei poterti chiedere cosa pensi dei palazzi che tirano su, per illuderci di una nuova modernità, ma negarci lo sguardo. Torno spesso dove nonno mi portava da piccola e mi chiedo come cresceranno i bambini senza tramonti: sopravvivranno, come quasi tutti, come me. Vorrei chiederti cosa vedono gli occhi che non guardano più.
Hanno detto che se vai in giro con un fidanzato o il papà non ti fischiano, ma chi non ha nessuno dei due? Eppure, molto più spesso del solito ho voglia di raccontare che mi sento come un quadro ad altezza sguardo, perfettamente centrato – discutevamo persino dell’altezza a cui mettere i chiodi nei muri, tu avevi Vitruvio, io l’horror vacui. Ora con il vuoto familiarizzo. 
Sono la milanese più noiosa che conosca. Dopo ventisette anni di persone che se ne vanno, sullo stesso orizzonte che cambia, ancora mi fermo a guardare i sacchetti che volteggiano per strada.

È aprile; metto su un pezzo dei Beatles. 

Because the world is round, it turns me on.
Because the wind is high, it blows my mind.
Because the sky is blue, it makes me cry.

Chissà come lo canterebbe Renzi.

sabato 3 aprile 2021

Sono una brutta persona, lo sono sempre stata, fin dall’adolescenza, e lo sarò ancora, forse per molti anni.

Con tutte le altre brutte persone vorrei condividere un insegnamento, che ho imparato con fatica: se non ti succede qualcosa di brutto, che invece a qualcun altro è capitato, non è perché sei migliore. Questa dell’essere superiori per qualche motivo è la storiella che devi raccontarti, per dare un senso a qualcosa che senso non ha, perché non puoi reggere lo spavento della faccia della realtà: che le cose brutte capitano, a caso, anche a te. Allora cerchi di convincerti che sarai sempre seduto dalla parte della fortuna, basta impegnarsi, anche se la fortuna non ha fissa dimora e tu sei un’incidenza di incidenti esattamente come tutti gli altri, in questo caos che chiamiamo cosmo.


Confondere la propria fortuna per merito è fare come chi crede che la giornata andrà bene, solo se attraversando, non è uscito dai bordi delle strisce pedonali. Per questo non chiameremo le cose brutte sfighe, perché non sono sfighe, sono cose che capitano a qualcuno, ma potrebbero capitare a chiunque e chi se l’è beccate non è uno sfigato; è un umano esposto al vento della casualità, come tutti noi, solo che stavolta si è alzato il maestrale tutto su di lui.

Quindi, ripetiamo insieme: una vittima non ha colpe. No, non se lo meritava. No, non se l’è cercata. No, non è vittimismo, no, non ci sono se e non ci sono ma: una vittima non ha colpe. Chi gliene riconosce è solo qualcuno che non riesce a capire e dovrebbe quantomeno sforzarsi di provare.


Se proprio volete un campo in cui poter davvero eccellere, scegliete la comprensione, ché per divertirsi a immedesimarsi in qualcuno di diverso, non servono i personaggi di Netflix, basta il coraggio di guardare oltre alla punta del proprio naso. Perché se qualcosa non è un tuo problema, non significa che non sia un problema. Quindi, smettiamola di impedire alle persone di rivendicare un mondo migliore, perché potrebbe guastare la comodità delle ingiustizie, a cui siamo stati troppo a lungo abituati. 

E ripetiamolo insieme: il catcalling fa schifo. Non fatelo, non difendetelo e anzi, spargete la voce che le donne non sono dei gatti.