domenica 19 marzo 2023

Non pubblico quasi mai video delle poesie che da anni mi portano sui palchi. Mi piace preservare la loro irripetibilità come qualcosa di sacro, soltanto per chi c’è – dal vivo. Ma oggi voglio fare un’eccezione e immortalare quella volta che in un teatro elisabettiano in Svizzera avevo un gran mal di testa, la testa piena di distruzioni da cui è difficile distrarmi, ma comunque sufficiente fiducia che le parole siano il farmaco più potente e più diffuso, perché il linguaggio è l’unico mezzo che abbiamo per superare i confini delle nostre solitudini, senza dissanguarci.
Ricorda: non smettere mai il coraggio di parlare.
Non credo alle religioni, ma capita che una sera lasci il tuo stato per andare a dire parole su un palco e finisci occhi negli occhi di sconosciuti; qualcuno racconta, qualcuno ascolta, d’improvviso il presente è un posto in cui stare bene, scendi dal palco e scopri che le parole che hai scritto non sono solo tue: sono nostre, mie, tue, loro e ancora un’altra volta mi inchino a dire grazie, perché questa è poesia e mi salva la vita. Grazie di costruire senso, insieme, nonostante tutto. Inganniamo la morte. 
Questa poesia si chiama Cassiopea e puoi ascoltarla e vederla qui


lunedì 6 marzo 2023

Come stai, in una parola? 5

[Sul mio profilo Instagram ho usato il box domande per chiedere: Come stai, in una parola? Alcune risposte sono diventate spunti per i seguenti brevi testi.]

Incenerito
L’aveva avvertito che sarebbe stato un rischio grosso da correre e davvero sconsiderato durante le settimane del palio, quando le contrade si animano di rancori antenati, ma S. aveva un conto aperto al tavolo dei sentimenti da quando alle superiori le aveva parlato per la prima volta: vent’anni dopo voleva riscuotere e puntare tutto su di lei, quindi le aveva scritto, si erano visti ed era successo quello che volevano, ma non doveva succedere.
Stamattina S. esce da casa con l’espressione involontaria e trasognata di chi sta bene e ancora non se lo spiega. Sorride, le chiavi in mano, inciampa e prima di accorgersi di aver dimenticato il casco, davanti a lui lo scooter incenerito sembra un’opera incomprensibile della biennale. Non sorride più, per un istante si sente sollevato, prima di bestemmiare. 

Crollo
Per alcuni è difficile distrarsi da se stessi, gli altri invece stanno peggio, A. farfuglia qualcosa di simile davanti allo specchio, mentre cerca di stirare con le mani le pieghe sulla maglietta, che da quando vive solo gli ricordano quanto sia strano vivere solo, dopo anni in cui solo era diventato un aggettivo desueto. Ora invece, come i nomi di nonni che dopo qualche generazione tornano nelle anagrafi, se lo diceva spesso: era solo, anche single, e giorno dopo giorno assisteva alla deviazione dei gesti divenuti automatici, poi all’incrinatura di ogni abitudine, infine al crollo degli affetti stabili.
Parlare da solo non sostituisce parlare a chi manca, però bisogna ascoltarsi, soprattutto quando rimaniamo gli unici a capirci. È allora che nonostante tutti, realizzi che l’importante è non abbandonarci noi, altrimenti sarebbe solo una maglietta stropicciata, invece senti un uomo solo cosa può dirsi davanti a uno specchio. 

Stropicciato
Ormai nella decima decade le scale sono una fatica difficile da spiegare, ma I. non rinuncia ad andare a guardare la sua città dall’alto. Il battito del bastone sugli scalini dà ritmo all’ascesa e segna una pausa alla fine di ogni rampa: alza la testa, come un olimpionico a fine vasca riprende fiato e riparte dopo un paio di colpi di tosse, finché in cima si abbandona: “guarda che bella, è sempre bella.” Poi come ogni domenica va fino alla terza panchina da sinistra, poggia il bastone, tira fuori il portafoglio e si siede. Da una fessura fra i soldi e la carta d’identità estrae un foglietto stropicciato che titola: “Caro I., la città è più silenziosa senza di te.”
Come ogni domenica, gli occhi lucidi sulla terza panchina da sinistra mi ricordano di cercare anch’io l’ispirazione che mi faccia sopportare cent’anni di scale. 

Impanicato
– Che hai?
– Panico. 
– Cosa?
– Attacco di panico.
– Non ti sento!
– Sono impanicato!
– Vieni, usciamo. 
A. si aggrappa al braccio dell’amico che lo trascina fuori dal locale, lontano dai faretti di luce bollente e dal rumore di musica e divertimento obbligato. Fa un respiro profondo. 
– Fa’ un respiro profondo. Va meglio?
A. annuisce, poco convinto, ma annuisce. Il sudore inizia a diminuire, gli tornano pensieri diversi dalla morte per soffocamento. 
– Grazie. 
– Figurati. Possiamo restare qui fuori quanto vuoi. Dentro c’è una puzza! E guarda che luna. 

Perso
C. ha sei anni, al suo compleanno il desiderio più grande che è riuscito a formulare è stato di vedere i dinosauri. Quando al parco con la sua classe, ha scoperto che ci sono delle gigantesche riproduzioni di dinosauri, ma non ci sono i dinosauri, con la scusa di andare in bagno è scappato e ora alla fermata della navetta aspetta di tornare a casa con tutta la delusione nello zaino. 
– Ti sei perso?
Scuote la testa all’autista. Non si è perso, sa bene dov’è. 
– Non puoi stare qui da solo. Dobbiamo trovare le maestre. 
C. scuote la testa, braccia conserte e sopracciglia aggrottate. 
– Ok, stiamo qui. Mentre aspettiamo, ti va di dirmi qual è il tuo dinosauro preferito? Quando avevo la tua età mi piacevano tanto, che avrei voluto averne uno e ancora adesso mi piacerebbe un T-Rex.