sabato 15 gennaio 2022

Post nero su bianco

Cattivi propositi. 

Rompere. 

Le abitudini che ci schiavizzano, le cattive posture, i modi di fare sempre uguali a quello che crediamo di noi stessi, con loro gli schemi mentali, le aspettative, i social, qualche oggetto, alcune relazioni, il silenzio e il cazzo, se necessario. 


Arrivare in ritardo. 

Se il vostro bisogno ossessivo di controllo vi induce a pensare che posticipare di dieci minuti quello che sull’agenda dovevamo fare già da dieci minuti sia un’imperdonabile catastrofe, avete la mia compassione. Ma raga, davvero: non sopravvalutate le nostre capacità di impiegare il tempo in modo prevedibile, o se proprio ritenete i vostri minuti così preziosi, ringraziate che ve ne ho liberati una decina, mentre probabilmente ne perdevo una decina a pensare che tanto ero in anticipo. 


Perdere tempo.


Fare figuracce. 

È inutile pensare di avere controllo sull’immagine di noi che hanno gli altri. Ancora più a fondo: è inutile pensare di sapere cosa pensano gli altri e comunque mai saremmo come pensiamo di essere. Quindi, non reprimiamoci e non colpevolizziamoci, ché già ci pensano Gesù e altri animali fantastici. 


Non ascoltare gli altri. 

Non sono me, la mia vita è mia e non è un modo di dire: riduciamo al minimo il rischio di buttarla confondendola per un altro film, di cui non siamo neanche comparse. E basta fare confronti, ché vivere è una merda per tutti e questa è forse l’unica verità che ci salva dalla totale solitudine. 


Risultare maleducata.  

Questo, per esempio, significa che ogni tanto gli altri, le loro opinioni, possono mettersele nel culo. 


Sbagliare.

Così posso imparare meglio a chiedere scusa. 


Permettersi di essere incoerente, stupida, casinista, una pessima compagnia, fallibile e in certi casi un fallimento. 


Lavorare fa schifo. 

Se smettessimo di fingere il contrario, di preferire la performance ostentata al benessere e di far sentire anormale chi non ama incancrenirsi nella stessa fottuta routine di fatiche, ogni giorno, staremmo meglio e potremmo dirci più onesti. E io potrei scrivere all’inizio del cv, sotto il nome, che lavorare fa schifo. 


L’amore è cura, ma non è una sola. Cercare di ridurlo a poche forme codificate e metterle pure in gerarchia è disonesto, come far passare per natura ciò che è solo una scelta come tante. Esiste l’amore fra due, fra tre, quattro, fra nazioni intere quando si vince a calcio, fra umani e animali non umani, fra me e me, ogni tanto. Fra figli e genitori, mariti e mogli – non necessariamente all’interno della stessa coppia – fra persone che non vogliono o non possono avere riconosciuta un’etichetta statale di certificata rispettabilità dell’amore che hanno. 

A proposito, chi dice che la famiglia è una sola, non ha mai visto un documentario che non fosse sul cristianesimo – e manco su tutto il cristianesimo. 

Se ci sentiamo infelici, forse è perché ci hanno insegnato poche vie lecite per non esserlo. Ho imparato che uno dei modi per creare disuguaglianze è limitare l’immaginazione: non facciamoci derubare della possibilità del possibile. 


Infine, scrivere stronzate.

Smettere di pretendere che le parole o le persone debbano avere un senso; figuriamoci un post nero su bianco, che finisce con supercalifragilistichespiralidoso, sii felice più che puoi.