venerdì 21 agosto 2020

Penso ai miei glutei. Cuscino fra me e il cuscino su un regionale disordinato, freddo e stanco di fine agosto. Non penso quasi mai alle mie chiappe così, nelle vesti di operaie alle fondamenta della seduta, che stasera è davvero scomoda.
Il buio fuori incornicia nel finestrino i ritratti dei passeggeri: siamo pochi e tutti abbiamo fra le mani una luce rettangolare simile a quella su cui compaiono queste lettere. C’è anche il controllore, con la camicia azzurrina e tricolore a maniche corte, spiegazzata. È stanco. Ha freddo. Forse anche lui si chiama RE2084.
Non ci chiede i biglietti, si siede. Posa lo zaino, le mani fra i capelli, sul naso, a stropicciarsi il segno lasciato dagli occhiali neri, squadrati, esattamente come i suoi capelli e gli occhi. Non sa di sembrare il personaggio di una festa in costume a tema dipendenti statali più che un vero capotreno e comunque ormai è troppo tardi. Disordinato, infreddolito e stanco si igienizza le mani, estrae una scatola di plastica e cena, tardi, male, come uno di noi.
Caro Clark Kent delle tratte fra Veneto e Lombardia, tu che anche dopo aver mangiato con le mani, ti disinfetti le mani e appena hai finito sfoderi una caramella alla menta, da far sparire dietro alla mascherina. A te che nel taschino hai la penna di un azzurro per nulla coordinato con la camicia, mentre la parte dalla cinta in giù è di un blu tutto uguale, che la rende la metà sotto di un omino delle scatole TrenitaLego. A te, che dopo esserti incantato a fissare il sedile come fosse stato il tabellone della stazione Buoni Propositi, afferri il telefono e ti incanti sullo schermo spento e che sei qui di fronte a me, a te auguro ci sia qualcuno ad aspettarti al capolinea. Magari un’altra supereroina in borghese, a fianco al cui cuscino tu possa posare l’orologio, tutte le notti, e coi polsi più leggeri finalmente riposare.
Siamo disordinati, infreddoliti e stanchi.
Ti auguro qualcuno che ti faccia dimenticare quel pezzo di vetro e plastica che ora tutti accarezziamo.