giovedì 28 novembre 2019

Domani prenderò un aereo. L’ultima volta c’eri anche tu. Un po’ terrorizzato, odiavi volare, ma piuttosto che farmi in treno da Catania a Roma, mi ero impuntata con gli aeroporti.
Che sadica, scusa. 
A metà del volo mi sono alzata per venirti a trovare: giustamente mi odiavi, per finta, io volevo farti vedere che non avevo paura, sempre per finta.
Ora che non posso più mostrarti il contrario, per finta, ho paura. Ho tanta paura e non solo degli aerei. Però quando riemergo dal sarcofago di pensieri irrimediabili che divento, penso che non mi resta che prendere tutti gli aerei anche per te, così come osservo minuziosa ogni nuovo edificio che mi cresce intorno e tu non vedrai. Lo guardo meglio, perché lo guarderò anche per te.
Chissà se domani qualcuno noterà il mio aereo sciare fra i palazzi. Lo spero, vorrei essere il motivo per cui creda che qualcuno lo pensa, o lo ama, a seconda delle versioni, così come se esistesse un dio vorrei che ti recapitasse le mie parole, che sono la cosa che abbia mai avuto più vicina a una fede.
Ti direi che da quando non ci sei, sei ovunque; che la mamma sta bene, anche lei finge bene. E che volare è una roba da poco, se mi manchi e nessuno può farci niente. 
Domani mi porto un po’ di dolore al check-in – non tutto, ché comunque deve rimanere sotto i venti chili. Poi dico che volo con Ryanair, così magari me lo perdono.
Al ritorno avrò più spazio per il bene che ci siamo voluti.

lunedì 25 novembre 2019

La scorsa settimana, una parrucchiera mi ha detto che dobbiamo perdere un centinaio di capelli al giorno. Più del numero mi ha stupita il servile dobbiamo: non possiamo perdere e nemmeno capita che perdiamo, no, dobbiamo. Dobbiamo, perché devono crescerne di nuovi, se non ne perdessimo un po’ tutti i giorni, farebbero schifo e poi dovremmo fare la muta a tutti in un colpo solo, quindi ritrovarci ciclicamente ad averli a zero, mi ha spiegato. Non fa una piega, le ho risposto – che battuta. 
Dobbiamo, serve a vivere meglio. 
Dovremmo imparare a trattare come i capelli anche gli oggetti, i ricordi e certe persone. Vorrei riuscire a togliermeli dalla testa un po’ ogni giorno, per occuparmi dei nuovi. Saper svuotare l’armadio dei vestiti che non metto, come l’hard disk delle foto che ho già abitato; rassegnarmi ad avere la memoria dei nonni, non dei computer. Liberarmi di tutti i libri che ho già letto, così come dei numeri in rubrica che non chiamo. Alleggerirmi di tutti i nomi che non pronuncio più. Con un colpo di spazzola liberarmi dei vecchi pensieri, chiudere gli occhi: iniziare a immaginare i nuovi, da zero. Estrarmi dallo stomaco gli insetti rimasti intrappolati, ripulire la cassa toracica dei pesi che mi affaticano il fiato. Rinascere nuova e più leggera. 
Questo non l’ho detto alla parrucchiera.
In compenso ho riempito una pagina di un quaderno, che è l’ennesimo quaderno che accumulerò sugli scaffali della libreria e dei lobi frontali.
A quanto pare, i capelli sono più bravi di noi a dimenticare. Loro hanno capito che perdere qualcosa non è sempre una sconfitta.