sabato 18 gennaio 2020

I bilanci di fine, inizio anno sono fastidiosi come le foto di laurea degli altri, ma ci dobbiamo passare. 
Vi risparmierò com’è stato il mio 2019 e come vorrei il mio duemilaventuro, perché A. non frega a nessuno, B. non frega a nessuno e C. non frega a nessuno – tre semplici regole che darei agli elencatori seriali di abitudini cattive e buoni propositi. 
Qui il punto è un altro.
Che questi sono giorni di sorrisi. Di agitazione senza ansia, quando hai l’occasione di fare qualcosa d’importante, quindi attenzione attenzione, ma dio, quanto è fico! Da sogno. 
Che sia l’inizio di un nuovo decennio è un ingenuo accidente, in confronto alla meraviglia che mi sbattono in faccia queste giornate, a cui mi rifiuto di dare una data: è ieri, oggi, domani spero, il tempo è relativo, siamo noi a farne la differenza. Ma in assoluto, posso dirvi che da questo nuovo anno, quantunque sia iniziato o ancora debba chiudersi, bruciare e riniziare, io voglio imparare l’intero vocabolario della gioia. Quello della tristezza lo so già a memoria, ora chiedono di essere abusate le parole dello stupore, per i gabbiani in Duomo, per il sole d’inverno, che peggiora lo smog, dell’entusiasmo per il cielo di Milano in fiamme e l’amore, che trasforma una stanza di pochi metri per pochi, in un resort.
Imparare la felicità, senza paura di dirla. Perché ce la meritiamo. Basta fare gli strozzini di se stessi, è tempo di riscatto. 
E so già che mi smentirò presto, ma ora sono una bambina con gli occhi spalancati, a cui Babbo Natale ha restituito il mondo.
Imparerò le parole per condividerlo.