venerdì 25 febbraio 2022

Guardare la guerra

Quasi non pubblico più sui social, perché rimango delusa dalle conseguenze. Eppure, nei momenti di mondo più cupo, come questo, mi ricordo che qualcosa che aspiri a far bene si può dire ed è nostra responsabilità, almeno, metterlo nero su bianco. E prendercene le conseguenze. Come la vergogna che sento a guardare l’ennesima guerra dal divano di casa e ad avere persino una voce per commentarla, io, mentre coloro che per primi avrebbero diritto di parola, in questo preciso istante la perdono nella fatica, nella paura e nei singhiozzi. A loro andrebbero le mie preghiere, se solo avessi un dio. 

Qui non c’è dio. 

Ci sono gli smartphone, i video e internet.

Ci sono persone che governano stati e mentono di fronte a tutto il mondo e mentono e mentono e bombardano e ammazzano, come se non fosse la prima volta. Ci sono persone che entrano nei carri armati, che entrano nelle città. Ci sono persone che prendono le armi, che spostano le terapie intensive neonatali in un bunker improvvisato. 

Ci sono persone che muoiono in foto. 

Ci sono persone che piangono in video, partono, lasciano tutto quello che hanno, affetti compresi, e provano a farsi sentire dal resto della mondo, per anni. 

Poi ci sono persone che sentono e persone desensibilizzate.


Ogni volta che guardo una guerra, in video, seduta sul divano e, vigliacca, ringrazio un dio che non c’è per questa posizione, nel setaccio del dolore mi rimangono due sassi più grossi degli altri.

1. Sembra che per sopravvivere al meglio dobbiamo tenerci il più lontano possibile dal pensiero – più vero che mai – che chiunque di noi può trovarsi dall’altra parte dello schermo. 

2. Di fronte a qualcuno che muore e qualcuno che ammazza, non starò mai dalla parte di chi ammazza e chiunque mi porti ragioni pseudo economico-storico-geo-politiche per giustificare la propria imparzialità, di fronte a qualcuno che muore e qualcuno che ammazza, non so dire in quale scuola – fallita – abbia imparato l’umanità. 


Se c’è una postura necessaria, che gli anni infiniti di studi superflui, che ho inseguito, mi hanno insegnato è l’empatia: mettersi dentro la sofferenza di un altro. Perché quello che capita a me può capitare a te e viceversa, sempre, a discapito di ogni illusione di sicurezza che ci culla al sonno, se ne abbiamo il privilegio. E perché, a discapito di tutte le spiegazioni disciplinari del caso, la giustizia deve stare dalla parte delle vittime e chi siano le vittime è chiaro anche a chi le nega e le biasima, perché non riesce ad ammettere (a se stesso) che tutti siamo fragili, nessuno escluso: è nostro compito – vantaggioso – difendere i deboli. A loro tutela funzionerebbe la società, se fosse giusta. 


Qui non c’è giustizia. 

C’è un assassino che ammazza. 

Ci sono vittime che cercano di difendersi.


Noi che guardiamo la guerra con il diritto di spegnerla e accenderla siamo perlopiù impotenti. Ma abbiamo un potere, che è un’arma a doppio taglio, se smettiamo di esercitarlo: rimanere sensibili e sensati. Impariamo a riconoscere la violenza per disinnescarla e non smettiamo mai di denunciarla, anche a costo di rimanere delusi e feriti dalle conseguenze. 


Dal divano, ringrazio un dio che non c’è per i miei privilegi e giuro di usare tutti i sensi che ho per non tornare al 1939.