venerdì 19 marzo 2021

Nessuno vi spiegherà che può capitare che ti iniettano un vaccino e poi muori. Può capitare, con un vaccino, un altro medicinale, un incidente, uno sbaglio, un ritardo, una coincidenza presa, una coincidenza persa, persino con un tozzo di pane incastrato in gola, la confusione. Può capitare che qualcosa di brutto avvenga, imprevedibile, ché le previsioni sono incerte anche fuori dal meteo.
Nessuno vi spiegherà che la medicina, come ogni scienza, è una scienza inesatta. Solo che non si tratta di uscire di casa con o senza ombrello, ma di vite umane che smettono di vivere. Fa paura, perché è scorretto. Anche senza una pandemia, l’Ingiusto Inspiegabile può capitare e toccarci, come una coccinella, seduti sull’erba. Conviene farsi una ragione del fatto che, a volte, farcene una ragione non possiamo.

Oggi è la festa del papà e io non ho nessuno a cui fare gli auguri.

Nell’ultimo mese sembrava che tutto fosse fatto per ricordarmelo: le sponsorizzate per comprare un regalo al papà, le frasi che paragonano i papà a supereroi e le figlie a principesse, i film dove si sposano e il papà le accompagna all’altare, i conoscenti che diventeranno papà o si lamentano dei rispettivi padri, le foto, i biglietti, tutti gli abbracci nelle serie tv. Eppure oggi è la festa del papà e capita che il papà non ci sia ed è doloroso al punto dell’Ingiusto Inspiegabile, un po’ come morire perché hai cercato di proteggerti e proteggere da un virus mortale. 

Vorrei dire che poi passa, che alla festa della mamma non ci pensi più, che la mia empatia ha un limite come il male che si può sopportare, invece no. Gli effetti collaterali dell’Ingiusto Inspiegabile sono cronici: ti insegna che può valere per tutti e tutti i cari di tutti quanti, che la sfortuna è una sfortuna pazzesca, solo finché non ti capita. Così, disorientati, disordinati e tristi, spaventati, a terra, siamo più simili che mai: possiamo essere una famiglia sparsa sull’intera Terra. Oggi i miei auguri vanno a tutti coloro, che non hanno qualcuno a cui fare gli auguri per la festa del papà.

Ci ripeto cose che saprete già: la vita è tremenda e bellissima. Tutti abbiamo paura. Esiste l’Ingiusto Inspiegabile. Mi capita di passeggiare sull’asfalto e di accorgermi che ho gli occhi ingioiellati di lacrime per la sirena di un’ambulanza, che è una madeleine amara. Mi capita di passeggiare sull’asfalto e accorgermi che ho gli occhi ingioiellati di lacrime, perché sono felice e lo sento, il sole, a ricordarmi forte che sto bene. Mi capita che i due episodi qui sopra siano lo stesso. Noi siamo un corpo ma anche uno slancio incorporeo dalla mente, che non so dove va a finire. Il giorno di un funerale, puoi sorprenderti a ridere a crepapelle e ricevere tanti abbracci, da far cambiare sapore alle lacrime. Anche le pandemie hanno una fine. Un’assenza obbliga a vedere meglio.

Non vi dirò che i vostri papà sarebbero fieri di voi, però potete esserlo voi. Questo vi auguro: di sentirvi bene, nonostante tutto. Di non sentirci soli. Di ridere tanto. Di trovare un senso a ciò che è ingiusto e inspiegabile, anche se non possiamo farcene una ragione – e non vogliamo, non dobbiamo. Vi auguro di vivere, anche se sappiamo che vivi non se ne esce. Di guardare il dolore e prendercene beffe, praticando l’allegria. Di essere felici e se adesso proprio non si riesce, almeno di immaginarlo forte, finché non sarà realtà.

lunedì 15 marzo 2021

Il cielo è blu, mi chiedo chi abbia deciso il colore dell’asfalto. Forse, se vivessimo in una scatola di matite, anziché circondati dai colorini smorti delle facciate stanche di città consumate, saremmo più predisposti all’allegria. Così sarebbero stimolati anche i pantoni della fantasia, dei ricordi, persino il blue monday sarebbe però blu fiordaliso. Forse conosceremmo più nomi di colori, forse nonna non dovrebbe chiedermi ogni giorno se sono vestita a lutto. Forse no. 

Sono sveglia da poche ore e il mio telefono è già al 20% e l’unica cosa che vorrei è tornare a letto, anche se persino dormire non è un posto sicuro, quando le facciate più diroccate sono proprio quelle del lobo frontale.

Siamo in lockdown nella nostra testa almeno dall’adolescenza e chissà quando usciremo. Vorrei che oggi fosse un giorno, che a nessuno abbia fatto male. 

Invece.

Tristezza si proietta su ogni superficie a cui mi affaccio. Le passeggiate sono solo fra i lobi, o i lombi, comunque i propri. Comunicare è un precipizio, siamo sempre ai lati opposti della faglia di sant’Andrea. Nessuno si salva da solo e spesso non si salva. Se vivessimo città variopinte, forse si arricchirebbe anche il nostro campionario di buio e la nostra capacità di guardare la notte. Imparare il dialetto delle bestie che ci abitano, spolverare le fotografie che ci fanno piangere, accogliere tutti gli oggi che sono stati oggi e non li avremmo voluti, altrimenti interviene il corpo di pulizia – igiene mentale – comandato dall’inconscio, che non conosce mezze misure. La fatica di essere animali teleologici dentro a gabbie di entropia.

Non c’è vaccino alla malattia mortale che è la vita, Zeno aveva ragione.

Bisogna avere cura delle proprie ombre, per non rinunciare al sole. Però non è mica giusto. 

lunedì 8 marzo 2021

Ho sognato che ero la direttrice artistica e presentatrice di Sanremo

Non vi dico i vestiti, i brani pazzeschi e l’agitazione, ma che soddisfazione scendere la scalinata per prima, da sola, senza un uomo ad aspettare di darmi la mano, alla fine.
“Buonasera, benvenutə al Festival della musica italiana.”

Al mio fianco, uomini e donne e persone che non si riconoscono nel binarismo di genere, tutti con un monologo che parlava di temi fondamentali: diritti, uguaglianza, giustizia e accoglienza, senza mai censurare i problemi e le difficoltà, persino quelle più sporche, che per esempio, una volta al mese, ti fanno macchiare di rosso, se non hai i soldi per gli assorbenti.


L’accessibilità di studio, carriere, cittadinanza, edifici, godimento e felicità.

I pregiudizi. La disoccupazione, la povertà e disparità di privilegi. 

La libertà e i presupposti culturali ed economici per praticarla.

Pensate che i più ricchi pagavano più tasse, non esistevano lavori non retribuiti e il costo della vita era abbastanza basso, da permettere a un ragazzo, figlio di operai, di vivere da solo, studiare e godersi il suo tempo libero. Lo stipendio dei politici era quello di un impiegato statale. Ma la società è in continuo mutamento, vanno sempre tenute in allenamento la tensione a migliorare e la memoria.


I femminicidi. Le vittime civili di guerre che non hanno sottoscritto. I corpi galleggianti su acque internazionali. Il razzismo. Le discriminazioni di genere. L’abilismo. Le incoerenze della legge. Le parole sbagliate, però il coraggio di alzare la voce.

Ricordavamo le morti ingiuste della pandemia del 2020, indimenticabile, che ci ha insegnato a rivoluzionare il sistema sanitario – morivamo ancora, ma non come prima, perché tutti avevano le cure migliori, gratis. Gratis. Migliori. Tutti. 


L’importanza di preservare l’umanità, coltivando la nostra umanità.


Insomma avevamo deciso di usare il festival per parlare di roba seria, importante, vera. A far ridere bastava proiettare il mio cv, che dopo anni di lavori traballanti dice: conduzione e direzione artistica del festival di Sanremo. Sbam! E sono una donna, giovane, con un cognome qualunque, anzi inventato! Pazzesco. E poi la mia imitazione di Amadeus.


Dalla sala stampa nessuno si è sprecato a commentare che ero dimagrita grassa scollacciata brutta bella single fidanzabile sboccata carina brillante anche, ma mai quanto un uomo. E nessuno mi ha pedinata, o mi ha fischiato e gridato per strada che ero bona, anche se, bisogna ammetterlo, ero proprio una dea. E di fronte a quest’ultima affermazione nessuno pensava che me la tirassi e che fosse un chiaro invito a scopare, ma solo consapevolezza, gioia e stima di sé. 


Erano lontani i tempi delle battute che non fanno ridere, delle donne che dicono che è ok se la vita delle donne è faticosa fino alle lacrime; delle persone con disabilità vestite come bambini al parco, a una serata di gala; dei calciatori armeggiati con lo yacht privato.

I cantanti in gara non ricevevano fiori, perché ci abbiamo addobbato l’intero palco e perché davanti a loro c’era il pubblico, che bastava come regalo.


All’ultimo giorno, un giornalista dietro le quinte mi ha chiamata: direttore!

Ci siamo guardati tutti, scoppiando a ridere, fragorosi. Era un lapsus di una vita passata; ora avevamo capito.

Finalmente non c’era più nulla di ovvio da dover ribadire, perché i diritti non erano più solo un sogno da reclamare.