mercoledì 26 gennaio 2011

Lamentela libera

Alle otto di un qualunque e grigio mattino milanese, un adolescente si trascina davanti alla macchinetta del caffè, più per istinto che per scelta. Inserisce quattro monete da dieci centesimi nell’apposita fessura e preme, sempre più per abitudine che coscientemente, il pulsante per l’erogazione di un cappuccino; svegliato di soprassalto da poco promettenti rumori, emessi dal dissetante marchingegno, mettendo a fuoco il display del suddetto, scopre che non sarà affatto dissetante.
Infatti, per l’ottava volta in una settimana, la simpatica ma datata macchinetta ci ha lasciati e questa volta mi ha mangiato anche i soldi.
Vabbé che tanto, Euro più Euro meno, il futuro non mi si prospetta per niente roseo, dal momento che, ovunque mi volti, trovo impressa a caratteri cubitali la parola crisi.
Crisi economica, crisi del governo, conseguentemente crisi del lavoro e incomprensibilmente pure dell’opposizione; crisi dei valori e anche della cultura la quale, trattandosi di un settore divenuto solo speculativo, non deve stupirci più di quella di campi maggiormente pragmatici.
Poi, come se non bastasse la grave instabilità dell’epoca in cui viviamo, ci si mettono anche le mie scettiche e confuse riflessioni sul futuro: infatti, perché mai dovrei ritenermi migliore degli altri, e quindi sperare di meritare un avvenire migliore del più infimo che si possa immaginare, se ogni cosa e dunque ogni attributo, compreso il concetto di “migliore avvenire", dipende dall’opinione personale?
Insomma vorrei essere felice, ma non so, e in quest’ottica non potrò mai sapere, che cosa sia davvero la felicità, giacché per comprenderlo dovrei avere la presunzione di ritenere la mia concezione di questo stato d’animo l’unica vera rispetto a tutte le altre innumerevoli esistenti.
Perciò mi ritrovo a condurre una vita che non sarà fatta d’altro che di supposizioni su concetti, che possiamo solamente illuderci di conoscere, imponendoci un solo sciocco punto di vista, e sperando di diventare uno di quei cittadini sovrani che al preside della mia scuola piace tanto citare ogni anno, durante il primo comitato studentesco, senza tener conto del trascurabile fatto che né lui, né tanto meno il suo giovane uditorio, sanno cosa voglia veramente dire.
Ma la parte peggiore della faccenda è che, nonostante la dilagante crisi generale e i miei pessimistici sprazzi di scetticismo, ogni qualvolta qualcuno mi dica: “fai parte di una generazione senza futuro”, un irrazionale scatto di speranza adolescenziale, non ancora completamente infranta, mi fa credere nella falsità di quella affermazione, sebbene sia innegabile la sua già mostrata ragionevolezza.
Pertanto, se la macchinetta del caffè del terzo piano non funziona, proverò con quella al secondo, perché adesso almeno di questo sono certo: avendo sprecato un intero minuto a fissare il distributore di bevande, sono passate le otto, quindi le quotidiane sei ore di lezione si avvicinano e io, per affrontarle, ho indubbiamente bisogno di un caffè.

lunedì 10 gennaio 2011

"Sogni le stelle/nella boccia dei pesci/rossi finisci"

Vogliamo imparare, vogliamo sapere, vogliamo capire.
Fin dai tempi del mitico Ulisse, l’uomo ha sempre tentato di soddisfare la propria spiccata curiosità che, non a caso, gli è valsa l’appellativo di animale dotato di particolare intelligenza, capace, a differenza degli altri, di interrogarsi perfino riguardo a quel principio da cui tutto discende, svariatamente chiamato demiurgo per Platone, Dio dai Cristiani, Big Bang secondo la moderna cosmogonia scientifica, per esempio.
Eppure, ogni qualvolta l’essere umano cerchi di approfondire le proprie conoscenze, nella vana ricerca di quell'originaria Verità che dovrebbe essere indubitabile e fondamentale, finisce sempre per sbattere contro il pluralismo, l’insieme di tutti gli enti nella loro eterogeneità.
A questo punto, si trova obbligato a compiere delle scelte, non essendogli vantaggioso né negare né confermare ogni cosa. Nel primo caso infatti, giungerebbe all’impossibilità di conoscere e perciò fallirebbe nientemeno che  proprio l’intento di soddisfare la sua sete di conoscenza; nel secondo invece, mentirebbe a se stesso acconsentendo anche a tesi opposte tra loro, che evidentemente la molteplicità, in quanto tale, presenta.
In altre parole, se si interrogasse su che cosa sia la giustizia, non volendo evitare la domanda e non potendo neppure enunciare tutte le possibili risposte, non farebbe altro che menzionarne solo quella o quelle per lui migliori, facendo in questo modo una scelta.
Ma, dato che la molteplicità è innegabile nella sua quotidiana sperimentazione, e dal momento che l’uomo non può evitare di discernere se vuole saziare la propria curiosità, è evidente che gli uomini continuino a macchiarsi di presunzione, perché basano le proprie scelte solamente sulla capacità decisionale di loro stessi, altresì detta “punto di vista”: pur non riuscendo a dimostrare l’assoluta fondatezza delle loro decisioni a causa dell’infinita pluralità di enti, continuano comunque a prenderne.
Siamo dunque falsi nei nostri medesimi confronti, giacché ci imponiamo un’opinione rispetto a un’altra, sebbene non sia possibile sostenere completamente la sua superiore validità tra tutte quelle esistenti.
Pertanto, a meno che non si confidi nell’esistenza di una forza che ci trascende, e che quindi decide per noi, siamo destinati a trascorrere un’esistenza alla ricerca di una Verità, di cui non possiamo fare altro che illuderci d’esserci impadroniti.
Dunque la vita non è altro che un racconto, di cui siamo auctores e agentes rispettivamente attraverso opinioni e azioni; non ci resta che capire se ci piace la letteratura.