domenica 2 febbraio 2014

Quanto tempo perso

Da quando mi sveglio tardi la mattina, il momento riflessivo che di solito il dopocena porta con sé si è spostato alla pausa caffè del primo pomeriggio.
Incomincia sempre nello stesso modo, ha una sua ritualità ormai: io, in piedi davanti alla macchina del caffè, la luce che lampeggia e, non appena smette di accendersi e spegnersi e si illumina, abbagliante fa scattare il mio gesto automatico per riempirmi la tazzina.
Quanto tempo speso a farsi caffè. A zuccherarli poi.
Quanto tempo sprecato a fumare, a raccogliere il tabacco che scivola fuori dalle cartine e a leccarsi le labbra quando la sigaretta ti si incolla alla pelle.
Quanto tempo perso a fissare il vuoto per poi scattare alla ricerca di un orologio; sappiamo che ore sono ma non abbiamo capito il tempo.
Quanto tempo perso a parlare del tempo. Che piove, che non piove, che non va mai bene a tutti.
Quanto tempo buttato a far cose che non ci piacciono e quanto impiegato per farcele o fingere di farcele piacere.
Quanto tempo a pensare all’impensabile.
Quanto tempo perso ad aspettare senza sapere, senza chiederci perché, per chi. Ad aspettare senza attendere o ad attendere, mentre si pensa all’impensabile, che scarnifica, degenera e ammazza.
Quanto tempo perso a parlare da soli, in solitudine e in compagnia; a correggere errori grammaticali, a pensare di fare, quando sarebbe così semplice fare e basta.
Quando faccio il caffè mi fa compagnia la mia gatta. Sale sul calorifero, sotto la finestra in cucina, cerca la posizione più comoda.
Si distende, appoggia la guancia di pelo in una delle fessure sopra il termosifone e si addormenta.
Chissà se sogna e cosa sogna.
Mai una volta che l’abbia vista incerta o malinconica. Mai.
Mai che fissi il vuoto, perda tempo a chiedere che ore sono, o si agiti senza motivo.
L’uomo è l’unico animale capace di pensare.
Forse, per questo, il più imperfetto.




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