lunedì 24 febbraio 2020

Un anno fa indossavo una mascherina per la prima volta nella mia vita e per l’ultima volta nella mia vita provavo a credere a qualcosa, senza riserve. Qualche settimana più tardi avrei imparato che persino i medici più megalomani non sono onniscienti e io, che avevo provato, sincera e disperata, a credere in loro, non potevo credere che mio padre fosse scivolato dalla parte sbagliata delle percentuali. 
Qualche mese più tardi prendevo il volo e da qualche parte fra l’aeroporto e la stratosfera scattavo una foto all’alba, incorniciata dal finestrino di un aereo su cui, nonostante tutto, in molti pensavamo di morire. Invece. 
Ho troppe e profonde paure per dirvi di essere coraggiosi e poche conoscenze per spiegarci qualcosa delle meccaniche dei nostri corpi, quindi non pronuncerò la parola coronavirus. So solo che a vedervi con le mascherine la parte più dolorosa della mia testa non è occupata dal trend topic del momento, ma da qualcosa di più intimo e personale – unico, purtroppo, ho imparato anche questo – e così ho pensato che sarà anche per altre, innumerevoli persone, che ora stanno meglio, o forse peggio. Bisogna condividerlo. 
Non possiamo farci carico del dolore di tutto il mondo, per fortuna. Ma ricordiamocene, ogni tanto, anche se non lo dicono alla tv. 
Ora scusate, torno a iperventilare per questo carnevale in mascherina. Che poi, alle albe ho sempre preferito i tramonti.

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