sabato 24 ottobre 2020

Un giorno torneremo a essere.
Faremo pace con la notte e la mattina ci sveglieremo sentendoci sensati, con la testa sgombra quel tanto che basta a disegnarci in faccia, involontarie, le rughe della contentezza e lo specchio sarà il nostro ritratto migliore: ce l’abbiamo fatta. Usciremo per strada grondanti gioia, spavaldi e orgogliosi, perché finalmente i telegiornali parleranno d’altro e anche noi potremo sfinirci le orecchie a dirci tutto quello a cui non abbiamo potuto prestarle in questi mesi. Andremo a sbattere sugli occhi dei passanti con i sorrisi incensurati, cammineremo piano, perché distratti dai nostri stessi simili, tutti complici di una felicità abbagliante e sfacciata, con le mani a esplorare fuori dalle tasche senza vergogna e l’odore di Amuchina. Berranno anche gli astemi. Le risa sovrasteranno l’inquinamento acustico, sarà una grande festa a cielo aperto, quel giorno ci abbracceremo tanto che da allora non avranno più ragione d’esistere i free hugs e torneremo a dare un senso anche alla sera, con le parole e le lingue; torneremo a baciarci, a fare l’amore, a poter rivendicare all’alba la nostra stanchezza e Atena ci concederà di allungare le ore, finché possiamo riempirle di tutto ciò che ci siamo persi. Saranno infinite e velocissime. Un giorno. Un giorno, non oggi. Oggi il benessere è sacrificabile. Oggi, ancora, è un campo per la rabbia e la tristezza e chiusi in casa, con l’assurdo, i fiori appassiscono.
Un giorno torneremo a essere?

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