domenica 15 novembre 2020

Ho sfoderato il cappotto pesante, profumato di tintoria, per fare il giro del quartiere. Quasi nessuno ha assistito alla sfilata e ho pensato che siamo tutti la Fondazione Prada: physically closed digitally active. Le parole scorrono così sui led, come un treno sui binari di fronte. Oggi ho costeggiato la ferrovia; mi ha ricordato che il mondo continua a girare anche fuori dalla finestra, dagli schermi. Mi chiedo se abbia questo ruolo per tutti i nonni che ci portavano i nipoti: ricordargli che ancora esistono i posti oltre l’orizzonte, dove per ora non possiamo andare.
Il cielo sopra Milano è un foglio sporco, ci scrivo mentalmente queste parole, mentre il marciapiede è un emisfero di cicche e foglie secche su cui rischio sempre di inciampare. Poi, a un certo punto, finisco i metri. Per non peccare di tracotanza non supero i confini, faccio ritorno, finché la mano per le cose da fare (ormai le mani hanno compiti ben precisi, una per le scarse interazioni col mondo esterno, l’altra per sistemarmi mascherina e capelli davanti agli occhi) mi avvisa che siamo tornate al portone. Anche oggi l’Odissea è tascabile. Con la mano per il mondo interno ripiego il foglio sporco che ho sulla testa. Mi servirà a notte fonda, a fantasticare sul giorno in cui potremo finalmente smentire Prada.

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