Sono una donna. Ho una vagina, il seno, una a alla fine del nome, come al termine di gran parte degli epiteti che mi si possono dare. Ho lo smalto sulle unghie dei piedi, i capelli lunghi, due gambe lunghe, due braccia esperte ad abbracciare o a incrociarsi, la bocca, piena di denti e desideri, un cuore e un cervello.
Io sono una donna.
Ci sono state giornate in cui avrei preferito non esserlo.
Per esempio alle elementari, quando giocavo a calcio, i compagni mi chiamavano lesbica e le maestre li sgridavano, non perché potessi anch’io giocare a quello che volevo, ma perché per loro quella era una parolaccia.
Avrei voluto essere un ragazzo tutte le volte che al liceo mi vergognavo di sanguinare ogni mese, soffrivo e mi dicevano che è normale, per una donna, e ogni volta che ho dovuto scegliere se vestirmi da troia, da suora, o da maschio.
Avrei preferito non essere una donna, quando all’università un professore mi ha proposto di fare il suo esame in segreto, nel suo studio, e quando ho scoperto che sul mio cv avrei potuto leggere tanti lavori quante avances.
Avrei voluto svegliarmi maschio, se su un palco non mi sono sentita libera di dire o fare il cazzo che mi pare, perché, si sa, la vita è una scuola senza fine e se un tizio con cui vuoi chiudere non esce dalla tua vita, è che l’hai stregato, non che è uno stalker di merda.
Avrei preferito avere un nome che finisce per o, ogni volta che qualcuno mi ha detto che scrivo bene: come un uomo.
Sarebbe stato più facile, non c’è dubbio.
Ma io sono una donna e questo non cambia; deve cambiare quello che mi circonda.
Voglio abitare un mondo in cui per essere una femmina, non debba fare il maschio, voglio pretendere un mondo dove posso avere le stesse possibilità di gioco di un uomo, con o senza vestiti. Io voglio una società per cui non valgo meno, se scopro la mia pelle, se non ho un cazzo, se ho il ciclo, se mi piace fare sesso e l’amore, se posso rimanere incinta e soprattutto per cui, se nel mio utero compare un feto, nessuno a parte me decida cosa farne, nemmeno il signor Iddio, come di tutto il resto di me, immagini comprese.
Pretendo una vita libera dallo stigma secondo cui sono sempre io la responsabile delle mele che mangia Adamo. Io voglio un’esistenza in cui, se ad Adamo mando un video di me che mi masturbo, lui non lo pubblichi sulla chat del calcetto e poi un’altra Eva mi faccia licenziare, perché, non gli umani che compiono un reato hanno torto, no, ma perché le donne come me sono sbagliate: le donne non sono sbagliate. Pretendo che questo sia un comandamento chiaro nella società che mi ha messa al mondo.
Voglio un mondo in cui le donne, coi capelli lunghi o corti, una qualsiasi lettera alla fine del nome, che si innamorano, si disinnamorano, vengono lasciate, lasciano, abortiscono, lavorano, pubblicano il proprio corpo o lo tengono per sé, si filmano, scopano, fanno l’amore, e lo dicono, o lo tacciono, sono tutte giuste. Nessuna esclusa.
Per avverarlo, occorre il coraggio di vivere di conseguenza. È faticoso ed è pericoloso, lo so. Ma bisogna osarlo: compagne di genere, sentiamoci bene e insegniamolo al resto del mondo.