lunedì 9 novembre 2020

Oggi è un giorno difficile, ma non voglio dire perché. Ma mi spinge a constatare, più del solito, che viviamo l’assurdo. Per esempio abitiamo profili virtuali che mischiano foto di morti a foto del culo – un po’ anche il mio. E tutto questo non è sbagliato, ma profondamente distonico. Siamo distonici. Se ci pensi, alla fine siamo proprio un insieme di idee astratte, pensieri altissimi incollati a una manciata di sporchi organi. Siamo l’amore e siamo gli organi sessuali per farlo, divenuti parolacce, sacri e sacrileghi allo stesso tempo, come i ricordi che ci portiamo dentro e il setaccio che usiamo per trattarli. Siamo purissimi e sporchi, per questo osiamo provare a fare l’amore anche dopo l’olocausto.
Da sempre mi chiedo come sia essere qualcun altro, come si stia dentro la testa e nelle diverse parti del corpo, o dello spirito di un altro: se c’è il mio stesso ritmo, se ci sono più immagini, più colori, meno frastuono, meno parole e la stessa Area 51 gestita dal senso di colpa. Se scrivo, lo faccio per capire se il disturbo che sento, lo sento solo io. Spesso la risposta è no e io sospetto di doverle la vita.
Per questo confesso in uno stupido post-it attaccato agli schermi dei social, che oggi, qua dentro, c’è un gran viavai. I dotti lacrimali fanno gli straordinari, attivano la macchina dei ricordi e anche la centralina della vergogna, perché siamo sempre qui a parlarci, fra un post commemorativo e un post con, di e sul culo, e a me proprio non andrebbe di sputarci le creature che mi ballano nel cuore, però lo faccio perché spero – ed è quasi una fede – che possa fare bene e toccare quello che di immateriale abbiamo tutti in comune. Per sentirci meno soli.
Non volevo dire perché a me oggi fa sentire proprio sbagliata mettere il ricordo di mio padre in un posto pieno di cuori come amen nei commenti, frasi di circostanza digitate di fretta, abbracci non dati, fra selfie e foto alle foto di chi i selfie non se li può più fare, invece alla fine l’ho detto. Ho fallito. Ho svelato e ora Maya ha freddo. Perché così è la vita e io sono un uomo, un miscuglio di tragedia e commedia che non si dà pace e non digiterà: buon compleanno, papà. No. Perché ti sento nei polsi ogni giorno, ma non ci sei più e chi dice il contrario, usa male i social.
Più che farti ricordare dal mondo intero, avrei voluto allungare la tua permanenza e ancora, così, ci provo con un’apologia. Se non dovessi riuscirci, daremo la colpa alla mancanza di sintonia o sintonizzazione, ché è sempre colpa della (tele)comunicazione.

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