lunedì 8 marzo 2021

Ho sognato che ero la direttrice artistica e presentatrice di Sanremo

Non vi dico i vestiti, i brani pazzeschi e l’agitazione, ma che soddisfazione scendere la scalinata per prima, da sola, senza un uomo ad aspettare di darmi la mano, alla fine.
“Buonasera, benvenutə al Festival della musica italiana.”

Al mio fianco, uomini e donne e persone che non si riconoscono nel binarismo di genere, tutti con un monologo che parlava di temi fondamentali: diritti, uguaglianza, giustizia e accoglienza, senza mai censurare i problemi e le difficoltà, persino quelle più sporche, che per esempio, una volta al mese, ti fanno macchiare di rosso, se non hai i soldi per gli assorbenti.


L’accessibilità di studio, carriere, cittadinanza, edifici, godimento e felicità.

I pregiudizi. La disoccupazione, la povertà e disparità di privilegi. 

La libertà e i presupposti culturali ed economici per praticarla.

Pensate che i più ricchi pagavano più tasse, non esistevano lavori non retribuiti e il costo della vita era abbastanza basso, da permettere a un ragazzo, figlio di operai, di vivere da solo, studiare e godersi il suo tempo libero. Lo stipendio dei politici era quello di un impiegato statale. Ma la società è in continuo mutamento, vanno sempre tenute in allenamento la tensione a migliorare e la memoria.


I femminicidi. Le vittime civili di guerre che non hanno sottoscritto. I corpi galleggianti su acque internazionali. Il razzismo. Le discriminazioni di genere. L’abilismo. Le incoerenze della legge. Le parole sbagliate, però il coraggio di alzare la voce.

Ricordavamo le morti ingiuste della pandemia del 2020, indimenticabile, che ci ha insegnato a rivoluzionare il sistema sanitario – morivamo ancora, ma non come prima, perché tutti avevano le cure migliori, gratis. Gratis. Migliori. Tutti. 


L’importanza di preservare l’umanità, coltivando la nostra umanità.


Insomma avevamo deciso di usare il festival per parlare di roba seria, importante, vera. A far ridere bastava proiettare il mio cv, che dopo anni di lavori traballanti dice: conduzione e direzione artistica del festival di Sanremo. Sbam! E sono una donna, giovane, con un cognome qualunque, anzi inventato! Pazzesco. E poi la mia imitazione di Amadeus.


Dalla sala stampa nessuno si è sprecato a commentare che ero dimagrita grassa scollacciata brutta bella single fidanzabile sboccata carina brillante anche, ma mai quanto un uomo. E nessuno mi ha pedinata, o mi ha fischiato e gridato per strada che ero bona, anche se, bisogna ammetterlo, ero proprio una dea. E di fronte a quest’ultima affermazione nessuno pensava che me la tirassi e che fosse un chiaro invito a scopare, ma solo consapevolezza, gioia e stima di sé. 


Erano lontani i tempi delle battute che non fanno ridere, delle donne che dicono che è ok se la vita delle donne è faticosa fino alle lacrime; delle persone con disabilità vestite come bambini al parco, a una serata di gala; dei calciatori armeggiati con lo yacht privato.

I cantanti in gara non ricevevano fiori, perché ci abbiamo addobbato l’intero palco e perché davanti a loro c’era il pubblico, che bastava come regalo.


All’ultimo giorno, un giornalista dietro le quinte mi ha chiamata: direttore!

Ci siamo guardati tutti, scoppiando a ridere, fragorosi. Era un lapsus di una vita passata; ora avevamo capito.

Finalmente non c’era più nulla di ovvio da dover ribadire, perché i diritti non erano più solo un sogno da reclamare.

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