lunedì 15 marzo 2021

Il cielo è blu, mi chiedo chi abbia deciso il colore dell’asfalto. Forse, se vivessimo in una scatola di matite, anziché circondati dai colorini smorti delle facciate stanche di città consumate, saremmo più predisposti all’allegria. Così sarebbero stimolati anche i pantoni della fantasia, dei ricordi, persino il blue monday sarebbe però blu fiordaliso. Forse conosceremmo più nomi di colori, forse nonna non dovrebbe chiedermi ogni giorno se sono vestita a lutto. Forse no. 

Sono sveglia da poche ore e il mio telefono è già al 20% e l’unica cosa che vorrei è tornare a letto, anche se persino dormire non è un posto sicuro, quando le facciate più diroccate sono proprio quelle del lobo frontale.

Siamo in lockdown nella nostra testa almeno dall’adolescenza e chissà quando usciremo. Vorrei che oggi fosse un giorno, che a nessuno abbia fatto male. 

Invece.

Tristezza si proietta su ogni superficie a cui mi affaccio. Le passeggiate sono solo fra i lobi, o i lombi, comunque i propri. Comunicare è un precipizio, siamo sempre ai lati opposti della faglia di sant’Andrea. Nessuno si salva da solo e spesso non si salva. Se vivessimo città variopinte, forse si arricchirebbe anche il nostro campionario di buio e la nostra capacità di guardare la notte. Imparare il dialetto delle bestie che ci abitano, spolverare le fotografie che ci fanno piangere, accogliere tutti gli oggi che sono stati oggi e non li avremmo voluti, altrimenti interviene il corpo di pulizia – igiene mentale – comandato dall’inconscio, che non conosce mezze misure. La fatica di essere animali teleologici dentro a gabbie di entropia.

Non c’è vaccino alla malattia mortale che è la vita, Zeno aveva ragione.

Bisogna avere cura delle proprie ombre, per non rinunciare al sole. Però non è mica giusto. 

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