lunedì 9 settembre 2019

L’organo più citato – almeno fino a Bukowski. Non so se sia colpa degli Stilnovisti o di qualche contemporaneo fricchettone del Leopardi, ma il cuore è la parte più nominata, disegnata, regalata, delle roulotte di carne e ossa che siamo.
Tutte e due le mie nonne avevano un ciondolo a cuore e quando ero piccola, mia mamma me ne regalò uno di plastica, citazione colta da un rifacimento di un film di Godard, cosa che ho impiegato ventisei anni a ricordare e ancora il film non l’ho visto. 
L’evoluzione si vede nei materiali, ma i simboli non mutano, sono i custodi delle storie che raccontiamo, dei personaggi ora canuti, che hanno ispirato e un po’ causato quello che siamo.
A me ricordava Sailor Moon e come ogni oggetto di quando ero piccola, era magico in virtù dei significati che gli attaccavo. Tipo che io con quello ero una strega e per esempio in metropolitana con papà, i tornelli si aprivano al mio passaggio. Ora che non c’è più papà alle mie spalle, ho imparato che per farli aprire devo usare l’abbonamento. Il cuore, per tanti motivi che prima o poi dovrebbero riempire almeno un libro, è in una scatola che odora di ricordi. 
Forse, anche il simbolo che abbiamo nel petto ha subito una genesi simile.
C’era una volta una bimba, a cui la mamma regalò un cuore di tessuto muscolare, che le batteva nel petto. Quando lo indossava, la bambina si sentiva potente, magica; si sentiva viva, come un personaggio di una storia, che abbia senso. Era chiaro che dovesse diventare la banca dove conveniva accatastare tutto il bene, che aveva ricevuto e che avrebbe potuto regalare.
L’importante è non smettere di indossarlo.

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